Gli strumenti messi in campo dai social network per contrastare la disinformazione durante la guerra in Ucraina

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Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok e YouTube, le maggiori piattaforme di social network del mondo, stanno mettendo in campo tutte le proprie forze per cercare di contrastare, o almeno limitare, la diffusione di fake news e di contenuti inattendibili e di propaganda sulla guerra in Ucraina.

Dall’inizio delle ostilità, il 24 febbraio scorso, abbiamo assistito ad una delle prime “guerre social” della storia dove in pochi secondi sono stati condivisi su tutte le piattaforme disponibili video, foto, dati e testimonianze di quello che stava accadendo in Ucraina dall’invasione alla resistenza e per finire alla fuga di soldati e civili.

In poche ore si è riversata sui social network una quantità inverosimile di contenuti in cui si è fatta molta fatica a distinguere il vero dal falso. Video di soldati risalenti a vecchie esercitazioni, carrarmati di altre nazioni fatti passare per mezzi autentici russi o ucraini, finti arresti, operazioni militari e anche torture o presunte acclamazioni in piazza, quest’ultima utilizzata dalla propaganda di stato russa per “giustificare” alla popolazione l’invasione in ucraina. Emblematica è stata la sfilata a Kharkiv dei soldati russi tra due piccole ali di folla che sventolavano bandiere russe acclamando l’esercito come liberatore. Si è scoperto un paio di giorni dopo che si trattava di cittadini russi (galeotti rinchiusi in un penitenziario in Crimea) trasportati appositamente in Ucraina per inscenare il video.

Alcune operazioni di “avvelenamento” della rete erano iniziate già settimane prima dell’attacco russo quando dei falsi account avevano fatto circolare su Facebook e Twitter immagini e testimonianze di presunti genocidi ucraini nel Donbass o di attacchi dei russi a civili inermi. Discorso simile per le immagini dei piloti ucraini eroi che abbattevano caccia russi o della storia dei soldati martiri dell’Isola dei Serpenti in Crimea.

Per scongiurare il disseminarsi di fake news serve un controllo molto severo, specie in una guerra così su larga scala, su ogni account e su tutti i contenuti condivisi. Questo però non sempre è possibile.

Vediamo come si stanno comportando in merito le maggiori piattaforme di social network.

Meta – Facebook

 Meta, il gruppo di Zuckerberg, accusato neanche troppo velatamente di non aver vigilito abbastanza per limitare la condivisione delle fake news, ha organizzato nei giorni scorsi lo “Special Operations Center” con il compito di mediare in tempo reale tutti i contenuti di lingua russa e ucraina. La moderazione è indirizza soprattutto a rimuove i contenuti fuorvianti di matrice russa (soprattutto verificare i post dei siti istituzionali e statali russi) e la chiusura di ben 40 account giornalistici falsi (si spacciavano per stampa ucraina ma avevano base in Crimea ed erano controllati dai russi) è la dimostrazione che qualcosa si sta muovendo.

Un ulteriore passo in avanti si è rivelato quello di proibire ai media statali russi di pubblicare contenuti sui propri profili ufficiali così come a quelli di informazione come per esempio Russia Today.  La modifica che più ha fatto infuriare i russi è stata però quella di consentire agli utenti di Facebook e Instagram di diffondere appelli alla violenza contro i russi.

Una decisione giustificata dai vertici di Meta con un semplice “consentiremo in via temporanea alcune forme di espressione politica che altrimenti violerebbero le nostre politiche” precisando che fra le espressione consentite c’è lamorte degli invasori russi”. Questa decisione è stata duramente contestata dal Governo russo che è arrivato a proibire, lo scorso 11 marzo, l’utilizzo di Facebook e Instagram (almeno le funzioni principali) su tutto il territorio russo. Impossibile quindi aggiornare le App di Meta (ma risulta in questo momento anche Twitter) e anche per accedere al sito c’è bisogno di una Virtual Private Network (Vpn) strumento che maschera il reale indirizzo internet dell’utente simulando anche una posizione geografica differente rispetto a quella effettiva. In questo modo si può scavalcare la censura.

Meta – Instagram

L’obiettivo che si pone Instagram è duplice: contribuire a proteggere la popolazione in Ucraina e Russia e cercare di contenere la diffusione di notizie false e fuorvianti.

Per aiutare direttamente gli utenti che possono essere vittime di ritorsioni (specie in Russia) per via della loro passata attività sul social network, Instagram sta modificando l’accesso alle funzioni “La tua attività” e “Scarica le tue informazioni”. La prima opzione permette infatti di eliminare tutte le foto e i video pubblicati, così come i “Mi piace” e i commenti precedentemente espressi. La seconda consente invece di scaricare una copia dei dati condivisi con Instagram.

Sempre nell’ottica di proteggere gli utenti da eventuali problemi dovuti alle pubblicazioni pregresse, anche Facebook ha creato l’opzione “Blocca Profilo”.

 Twitter

Il social network creato da Jack Dorsey è stato fin dal principio della guerra uno dei social network più utilizzati anche per via del suo sistema più semplice e immediato di pubblicazione che incentiva la circolazione di un maggior numero di contenuti. Già nel 2011 la piattaforma fu la più utilizzata durante le rivolte della “Primavera Araba” e discorso simile si può fare per l’invasione nel Donbass del 2014. Anche in questo caso Twitter ebbe un ruolo sia di informazione che, prima e dopo, di disinformazione .

Lo stesso Presidente ucraino Zelensky condivide in maniera puntuale e sistematica tweet sul suo profilo ufficiale informando i cittadini sulle fasi della guerra, sulle trattative e persino sui colloqui intrapresi con gli altri leader mondiali.

La prima iniziativa di Twitter è stata quella di proibire la pubblicità dalla Russia e dall’Ucraina in modo da, parole della stessa società, “privilegiare la cruciale informazione sulla sicurezza pubblica ed evitare che le pubblicità creino distrazione”

All’inizio delle ostilità Twitter ha però avuto molti problemi nella moderazione dei contenuti. Il caso più eclatante è stata la chiusura di ben 70 profili di analisti e ricercatori che si occupano di intelligence open source (OSINT – raccolta e analisi delle informazioni liberamente disponibili sui social media) colpevoli solamente di aver diffuso immagini e video di ciò che stava accadendo in Ucraina con commenti e valutazioni sui contenuti mostrati. Questo per via di un problema al sistema automatico di moderazione. Il caso è stato poi risolto e Twitter ha creato un sistema di moderazione che unisce automazione e revisioni manuali grazie ad un team (di lingua madre ucraina e russa) capacie di valutare le segnalazioni e capire se un tweet proviene da una fonte ufficiale o meno.

 

YouTube

 Anche YouTube sta avendo il suo bel da fare nella moderazione dei contenuti. Per questo social network l’attività di moderazione è più complicata perché si scontra con logiche commerciali e di libertà di espressione oltre che di informazione. YouTube è poi uno dei canali più usati in Russia anche dalle testate di informazione ufficiale (o finanziate dal governo russo) come Russia Today (che ha vari canali in altrettante lingue su YouTube) e Sputnik News, da poco arrivato anche in Italia.

Tralasciando le accuse più o meno velate che vengono mosse verso Google accusata proprio tramite YouTube di ricevere ingenti percentuali di denaro sulla pubblicità che accompagna i video delle tante società russe (anche statali) presenti su YouTube, il social network ha fatto sapere di voler contrastare le fake news cercando di aggiungere precisi avvisi prima della riproduzione dei video oppure bloccando gli annunci pubblicitari per impedirne i ricavi a chi pubblica. Tutto questo però, stando molto attenti a tutelare la libertà di espressione e di conseguenza censurando solo i  contenuti che violino palesemente i suoi termini di servizio.

Telegram e Tik Tok

 Se social network come Facebook e Twitter combattono già da anni nel cercare di prevenire ed eliminare il fenomeno delle fake news, per social network più giovani come Telegram e soprattutto Tik Tok, questa battaglia appare ancora più difficile.

Telegram, lo abbiamo visto anche con le fake news da Covid-19 o da no-vax, difficilmente sospende e rimuove i canali creati dai propri utenti anche se ha messo a disposizione della propria community strumenti per segnalare abusi o il non rispetto di determinati criteri.

Per Tik Tok come dicevamo, questo fenomeno appare abbastanza nuovo e la politica per la rimozione dei contenuti non appare ancora abbastanza chiara. Non a caso Tik Tok è in assoluto il social network più usato in questi giorni di guerra anche per via della sua semplicità nella riprese e nella pubblicazione dei video. Il tag #Ukrainewar ha accumulato quasi 500 milioni di visualizzazioni su Tik Tok e al momento è inutile negare come questa piattaforma sia uno dei mezzi di informazione (e disinformazione) più utilizzati anche da giornalisti e comunicatori.

Al momento il social network di origine cinese ha fatto sapere di aver sviluppato un algoritmo e altri sistemi di moderazione per evitare di diffondere fake news e assicura di rimuovere costantemente contenuti che promuovo violenza e disinformazione.

Purtroppo la piattaforma sotto questo aspetto non riesce ancora ad incidere come dovrebbe e l’esempio più lampante è una recente clip visualizzata ben 27 milioni di volte che mostrava dei paracadutisti russi che ridono e scherzano mentre scendono sul territorio ucraino. Un caso di cui si è occupato anche la BBC mostrando che le immagini fossero in realtà relative al 2015 e già pubblicate su Instagram almeno un anno fa. In un’altra indagine di NewsGuard, un’estensione per browser che permette agli utenti di riconoscere e distinguere le fake news, è stato dimostrato  come Tik Tok fornisca autonomamente ai propri utenti contenuti falsi e fuorvianti sulla guerra appena 40 minuti dopo la registrazione sul social. Sei analisti di NewsGuard hanno creato infatti sei nuovi account per valutare in prima persona questa caratteristica del social.

Cercando per esempio “Ucraina”, il social network propone almeno 20 contenuti video di cui quasi la metà è un falso. Un video di Putin che dichiarava in conferenza stampa come l’Ucraina fosse in mano ai neo nazisti è stato visto 1,5 milioni di volte in neanche 24 ore e inserito automaticamente nella colonna “Per te” (dove sono i video e gli account più vicini ai nostri gusti e categorie) senza che l’utente avesse fatto nulla per favorire questa scelta.

Di esempi in merito se ne potrebbero tanti altri ma il punto cruciale è che Tik Tok, forse per una precisa scelta aziendale, continua senza freni sulla strada della “libera condivisione” perché è diventato uno degli strumenti più utili a russi, ucraini e statunitensi per divulgare la propria propaganda di guerra. In Russia per esempio, Tik Tok non è stato subito limitato come gli altri social network e il Governo russo ha “arruolato” ben 500 influencer per diffondere video e contenuti vicini al regime di Putin. Anche se successivamente Tik Tok ha deciso di filtrare i contenuti che incitavano a violenza o guerra, i video già caricati avevano ormai raggiunto milioni di visualizzazioni e condivisioni. Discorso identico per gli USA che si stanno affidando già da mesi ai profili U20 più seguiti per raccontare le atrocità della guerra e dell’invasione russa. Addirittura il 10 marzo scorso questi influencer hanno partecipato ad un briefing organizzato via Zoom dalla Casa Bianca per dare loro informazioni sulla guerra in Ucraina e la posizione strategica degli Stati Uniti. Gli invitati, neanche a dirlo, avevano tutti tra i 500.000 e i 2 milioni di followers.

Con queste premesse, nessun algoritmo sarà (per volontà umana) in grado di filtrare e limitare la condivisione delle fake news.